Il ritorno della schiavitù nell’era dei robot? Una tesi suggestiva

robotslaveL’approvazione da parte del Parlamento Europeo di una risoluzione per la definizione di un quadro etico-legale in tema di responsabilità civile dei robot ha riacceso il dibattito tra esperti e studiosi della materia su quale possa essere la regolamentazione migliore cui assoggettare le condotte di agenti non umani.

Suggestiva la tesi avanzata sul Financial Times dal Prof. Luciano Floridi secondo cui la risposta andrebbe trovata nel diritto romano laddove era il dominus responsabile per i danni cagionati dalle condotte dei propri schiavi.

Una tesi che, tuttavia, finisce per confermare la natura del robot quale oggetto e non  soggetto del diritto: nell’antica Roma, infatti, gli schiavi potevano avere un patrimonio separato, il c.d. peculium, nei limiti del quale rispondevano, ma la soggettività era comunque fittizia poiché e il patrimonio continuava ad essere posseduto dal dominus e lo schiavo era pur sempre una res.

Situazione non dissimile a quella in cui ci si verrebbe a trovare se si equiparassero i robot ad animali domestici.

In tal caso, infatti, l’articolo 2052 del codice civile dispone che “il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.

Gli automi  potrebbero essere i nostri futuri animali domestici? Se così fosse, perché non applicare quelle disposizioni che l’ordinamento ha da tempo previsto in tema di danni da loro cagionati a terzi? Orbene, l’articolo 2052 c.c. appare di notevole interesse anche sotto un diverso punto di vista: dalla sua esegesi, infatti, emerge una responsabilità alternativa tra proprietario e colui che si “serve” dell’animale per il tempo in cui “lo ha in uso”.

Nel caso di un robot, ciò consentirebbe, ad esempio, di evitare che il proprietario risponda dei danni dallo stesso cagionati nel periodo in cui ne abbia affidata la responsabilità ad un terzo il quale se ne sia servito per un proprio tornaconto personale.

Secondo la giurisprudenza prevalente, infatti, il servirsi dell’animale di cui all’art. 2052 c.c. può indicare il voler perseguire una finalità economica, un profitto materiale o anche immateriale: non è, quindi, essenziale il fine in sé dell’utilizzo dell’animale da parte del terzo, quanto che detto fine sia autonomo rispetto a quello del proprietario, comportando l’attribuzione in favore del primo del diritto di usare l’animale per soddisfare un proprio interesse e, di contro, l’onere di risarcire i danni causalmente collegati al suddetto uso.

About Marco Scialdone

Avvocato e dottore di ricerca in Categorie giuridiche e Tecnologia. Fellow IAIC – Accademia Italiana del Codice di Internet, mi occupo di problematiche inerenti il diritto dell’informatica. Faccio parte del comitato di redazione delle riviste “Diritto Mercato e Tecnologia – DIMT” e “La Nuova Procedura Civile”. Sono autore di numerose pubblicazioni sui rapporti tra diritto e informatica, alcune delle quali disponibili su Academia.edu. Dal 2016 sono docente presso il Master in Diritto dell’Informatica dell’università La Sapienza di Roma. Sono stato professore a contratto presso l’Università di Perugia, la Link Campus University, l’Università Europea di Roma (nell’ambito della scuola di Specializzazione sulle professioni legali).
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